Se fossi un troiano, sarei Cassandra. Chi se ne frega degli eroi esagitati con tutte le loro fisime da Dei convinti che ostentano sapere, volere e tenacia? Sai che noia! Io voglio la resa davanti all’evidenza. Il miracolo senza cui non si puo’ stare. Io voglio un altare di pietra e pelli di bestie scannate. Conciate. E grezza, la lana, voglio intorno al collo. Voglio i velli e i confini del non ritorno. Voglio crescere come l’edera sui muri, voglio improvvisamente comparire. Come la bellezza sa fare, come tutti fingono di capire. Hai davanti quattro carte questa notte, ognuna e’ un destino. Ci sono quattro tarli diversi, c’e’ il fuoco del camino e Cassandra si piega in avanti e sorride allungando la mano. Prende dal tavolo un foglio di carta e i colori, e saluta con lo sguardo distratto. S’affaccia sospesa sul pozzo, infinito. Socchiude le labbra, non ha piu’ saliva. E qualcosa le parla, e’ una voce, sicuro, ma bisognerebbe provare. Qualcuno crede che attinga, mentre lei strilla, perche’ e’ la sua stessa vita a farle cosi’ tanto male. E nessuno la stima. Nessuno le dà retta. Nessuno le bacia la bocca rossa come la terra. Nessuno la trapassa senza lasciare impressioni, niente l’attraversa abbastanza in fretta. Cassandra ha gli occhi svelti che accolgono il tempo, e la neve e la legna e i turbini grigi sulla sciarpa, prima ancora che arrivi l’inverno.

Leave me alone, Cassandra


(immagine di copertina: Francesca Anita Modotti)

giovedì 9 febbraio 2012

DUE DITA


C'era una spiaggia e c'era il mare. Tutto il resto aveva voglia di crescere, di scoprire dove fossero le ruote per proseguire. Allora lei si fece piccola, più piccola di quanto era. E si affacciò al vento tiepido del mattino, perché solo così avrebbe potuto asciugarsi i pensieri. I pensieri le colavano giù dalle guance, già dalla sera prima, dato che a fare progetti e sogni, non si ha mai cura della propria pelle. La si considera di passaggio, come se passata quella, ci fosse altro ancora da attendere e da far passare. E' così facendo che, sulla via, si raccolgono cartacce e piccole zolle con sopra il muschio, aspettando il natale e il presepe e l'abbuffata. E di raccolta in raccolta si compone quasi sempre un mosaico che non assomiglia a niente, poiché alla fine, quando arriva il tempo bello, se non sei presente, come potrai dire, ti stavo aspettando? E quando invece va via la neve, la neve coi suoi cristalli, come potrai dire, mi mancherete, voi, quest'anno? Allora la piccola donna calzò le scarpe, che aveva abbandonato, e si diresse oltre il muro, schermo alla spiaggia per chi sulla strada asfaltata fosse passato. E lì contò i dispetti che il destino le aveva giocato, e senza nessuna voglia si mise a chiedere un passaggio. Il pollice alzato non fu un facile richiamo, perché in effetti nessuno più si fidava di nessuno e nemmeno tanto a uscire di casa. Passò il primo, che era un prete, solo dopo molto vento, e si accostò di lato. Ma a lei i preti non erano mai piaciuti e fece finta di non vedere. Passò poi un viandante, uno col passo incerto, e si accostò come l'altro. Ma lei valutò che sulle spalle sarebbe stata scomoda, ne era sicura, e gentilmente declinò l'invito a scalare quel signore sciancato ma grosso. Così passò anche il tempo, e fu notte, e non c'era più il tepore. E la notte accostò, come i due di prima, e stavolta lei la prese, perché c'era solo quella, e non bastava pregare per cambiare le cose. La notte la condusse due metri più in là, poi la scaricò al sonno, come usava fare, e il sonno era un aiuto comodo e facile in quelle condizioni. Con il più arcaico di tutti i modi di fare, disse che possedere uno scialle è un lusso che ognuno sa permettersi. E fu convincente. Con sé aveva un sacco pieno di carezze, e ogni carezza era un mistero. Così la piccola donna pescò al buio, infilando la mano nella iuta, con spensieratezza. Ne estrasse un sasso livido e levigato, liscio come un uovo, e ci guardò dentro, manco  fosse stato una sfera di cristallo. E dalla sfera venne fuori il mostro, insonne, come il vecchio stadio del suo paese, quello che si riempiva di concerti e persone alla sera, e che continuava a tenerla ferma nel letto, come se non dovesse mai finire niente, come se tutto il mondo vegliasse e solo lei fosse costretta a dormire. Imbambolata, lasciò cadere il miraggio, e l'uovo si spaccò, senza toccare nemmeno il suolo. Ci arrivò tramutato in 1000 schegge luccicanti e un sorriso, e l'invito a provare ancora, che non era poi tanto tardi. Così la piccola donna ficcò la mano per una seconda volta nella bisaccia del sonno. E ne pescò un enigma vivido, pieno di punte acuminate, un enigma che poteva, a prenderlo male, persino procurare sanguinamento al cuore, un certo dolore. Se ne fece beffe però lei, che col dolore aveva dimestichezza. E sapendolo maneggiare riuscì a vederci attraverso il fuoco di un casolare, e una coperta. Così fu tentata, davvero tentata, di arrendersi a quel calore. Ma alla fine venne il lampo a ingrandire la finestra che dava sul cortile. E accanto al fuoco, accanto alla coperta, scorse il viso di suo padre, senza neanche più un capello in testa. E sua madre mogia, che lavava le padelle. E si fece stanco l'entusiasmo del risveglio, come era stato un tempo, come non voleva più che mai e poi mai le capitasse. Gettò via la meteora acuminata e quella sbuffò in un lampo toccando il suolo, come una granata, come una bomba lanciata da qualche aereo nemico. A quel punto il sonno era lì lì per andare, ma ancora le offerse l'occasione, e la piccola donna, seppure stanca, si decise e infilò la mano per l'ultima volta nel suo sacco. Passò in rivista, senza però guardare, alla cieca e solo col tatto, una serie di cose dure e morbide, fredde e calde, e al quinto oggetto sfiorato, afferrò quello. Tutto sembrava, tranne che le potesse calzare... Il terzo mistero estratto aveva il sapore del pane e il suo odore inconfondibile, la fragranza sulle labbra, la fortuna che sa fare della vita un cuscino morbido, un gioco divertente che si realizza anche semplicemente con due dita. E due dita in quel momento le sfiorarono il volto. Aprì gli occhi. Ma ciò che vide non seppe mai se era davvero il mattino nuovo, o soltanto il terzo sogno.

4 commenti:

  1. bel racconto

    due dita possono bastare,
    come una parola e un pensiero

    il destino non segue i sogni
    i sogni li lascio ai bimbi
    il destino lo lascio ai sognatori

    a presto.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. ...chissa' cosa fanno gli insonni, in tutto questo... :)

      quando vuoi, qua stiamo...

      Elimina
  2. Sognare stanca tantissimo. Per questo dormo moltissimo.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. si parlava la settimana scorsa, con un amico, proprio del sonno senza sogni. per un ottimale riposo, forse dovremmo testare alcune delle sue tecniche.

      Elimina