Se fossi un troiano, sarei Cassandra. Chi se ne frega degli eroi esagitati con tutte le loro fisime da Dei convinti che ostentano sapere, volere e tenacia? Sai che noia! Io voglio la resa davanti all’evidenza. Il miracolo senza cui non si puo’ stare. Io voglio un altare di pietra e pelli di bestie scannate. Conciate. E grezza, la lana, voglio intorno al collo. Voglio i velli e i confini del non ritorno. Voglio crescere come l’edera sui muri, voglio improvvisamente comparire. Come la bellezza sa fare, come tutti fingono di capire. Hai davanti quattro carte questa notte, ognuna e’ un destino. Ci sono quattro tarli diversi, c’e’ il fuoco del camino e Cassandra si piega in avanti e sorride allungando la mano. Prende dal tavolo un foglio di carta e i colori, e saluta con lo sguardo distratto. S’affaccia sospesa sul pozzo, infinito. Socchiude le labbra, non ha piu’ saliva. E qualcosa le parla, e’ una voce, sicuro, ma bisognerebbe provare. Qualcuno crede che attinga, mentre lei strilla, perche’ e’ la sua stessa vita a farle cosi’ tanto male. E nessuno la stima. Nessuno le dà retta. Nessuno le bacia la bocca rossa come la terra. Nessuno la trapassa senza lasciare impressioni, niente l’attraversa abbastanza in fretta. Cassandra ha gli occhi svelti che accolgono il tempo, e la neve e la legna e i turbini grigi sulla sciarpa, prima ancora che arrivi l’inverno.

Leave me alone, Cassandra


(immagine di copertina: Francesca Anita Modotti)

mercoledì 25 luglio 2012

GIUDIZIO



(Immagine dal web)




Se non hai giudizio, allora arrenditi. Posa le armi e vieni fuori di casa. Tieni le mani bene in vista e spera nella clemenza, nella corte d'assise, i cui membri gracidano rame attraverso spaziature dei denti larghe fino a due ante. E sulle lingue dei rospi deponi il pugnale, l'ultimo baluardo che tenevi sul labbro. E dentro bocche deformate dall'incesto, accomodati come un desolante livido relitto terminale.
Una dose, ti sento mugolare, una dose ancora, mentre premi il dito sul pulsante. Terapia del dolore. Dalla flebo una gocciolina parte. La speranza attenua il male, la dopamina ubriaca. Meglio sarebbe se tu fossi orbo, penso: l'illusione, di questi tempi, naviga bene se il colore del cielo è un mischiume di perle buie, di variegate sfumature, allucinati avanzi di stella e madri, dal travaglio trasformate per sempre in sottane.
Abdicare al discernimento, del resto, è la moda del ventennio. Demonizzarne l'uso e delegarlo a un maiale in toga, uno che la saprebbe lunga se solo la sarta non avesse sbagliato. Se solo la sarta non si fosse concentrata, con le sue forbici, troppo sul tessuto e troppo poco sugli occhi di chi guarda.
E' il terrore, solo quello, capace a far distogliere il pensiero. T'acquieti e biascichi. Ripeti la solita solfa. Ti cristallizzi. Diventi sentenza. Ti spegni, anche fossi mai stato magma.
Temi il giudizio, e non ti ribelli alla condanna. 

12 commenti:

  1. Abdicare al discernimento è la la moda del ventennio..mi hai fatto riflettere molto con questo post..grazie..

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Cassandra porta sempre uno specchio con se'. ma e' uno scuro e profondo. poche immagini ci si riflettono, quasi nessuno ci riconosce se stesso. grazie a te.

      Elimina
  2. Ho subito pensato al Ventennio, quello più famoso. Già allora il 'discernere' era diventato un optional, tant'è che abbiamo subìto (applaudendo nelle piazze).
    Oggi, peggio di allora, il terrore è subdolo, i giudici non hanno toga, ma giacca e cravatta; e sorridono mentre condannano a morte lenta.
    Ciao.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. io qualche toga ancora la vedo. mentre sulla piazza di una citta' la gente guardava con ammirazione un gorilla portato la dagli zingari di un baraccone... :P

      Elimina
  3. io ho più paura del branco.. della giuria invadente! :/

    RispondiElimina
    Risposte
    1. l'invadenza, se non e' un eufemismo, e' un male di poco conto...

      Elimina
  4. “Noi siamo suo popolo, gregge che egli guida.” (salmo 99)
    La condanna è l’accettazione passiva del ruolo assegnatoci: essere parte di un gregge anestetizzato, incapace di esprimere un giudizio o che forse semplicemente si sottrae, rinuncia a priori a formulare un’opinione propria pur di rimanere nascosto, non visto, non ascoltato, morto.
    Il pastore ammaestra da secoli le sue greggi. E nel suo lavoro si serve spesso di cani che lo aiutano a serrar le fila e a recuperare i fuoriusciti.
    Tu sei una pecora nera … lo seeento. Peeentiti! :=0
    (Comunque trovo che la toga sul rosa maiale abbia un suo perché - animal fashion °__°)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. il cane come concetto, prima ancora che come animale, fa alla fine anche un po' schifo. nel senso che e' il migliore amico dell'uomo, suo prodotto di selezione, ma soprattutto e' quello che gli somiglia di piu'. a tale proposto, mi chiedo, quanto il pastore non sia anche egli un prodotto di selezione. Cassandra dice... sarei una maiala, se non fossi altro. :) e io si, sono nero. per mimetizzarmi con lo sfondo del blog...

      Elimina
  5. beeeeeeee, chissà se nel sistema solare gemello esiste una gemella di Cassandra e chissà se loro sono avanti a noi quel tanto che basta a farsi un'idea del proseguo?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. basta capire che il prosieguo sta gia' qua, lo stiamo facendo. altro che farsene un'idea... :)

      Elimina
  6. Il pastore è geneticamente selezionato e "culturalmente" modificato.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. scriveva un tale, tanti e tanti anni fa, che una cultura e' l'insieme delle repressioni perpetrate da e su un popolo in una determinata area geografica.

      Elimina