Se fossi un troiano, sarei Cassandra. Chi se ne frega degli eroi esagitati con tutte le loro fisime da Dei convinti che ostentano sapere, volere e tenacia? Sai che noia! Io voglio la resa davanti all’evidenza. Il miracolo senza cui non si puo’ stare. Io voglio un altare di pietra e pelli di bestie scannate. Conciate. E grezza, la lana, voglio intorno al collo. Voglio i velli e i confini del non ritorno. Voglio crescere come l’edera sui muri, voglio improvvisamente comparire. Come la bellezza sa fare, come tutti fingono di capire. Hai davanti quattro carte questa notte, ognuna e’ un destino. Ci sono quattro tarli diversi, c’e’ il fuoco del camino e Cassandra si piega in avanti e sorride allungando la mano. Prende dal tavolo un foglio di carta e i colori, e saluta con lo sguardo distratto. S’affaccia sospesa sul pozzo, infinito. Socchiude le labbra, non ha piu’ saliva. E qualcosa le parla, e’ una voce, sicuro, ma bisognerebbe provare. Qualcuno crede che attinga, mentre lei strilla, perche’ e’ la sua stessa vita a farle cosi’ tanto male. E nessuno la stima. Nessuno le dà retta. Nessuno le bacia la bocca rossa come la terra. Nessuno la trapassa senza lasciare impressioni, niente l’attraversa abbastanza in fretta. Cassandra ha gli occhi svelti che accolgono il tempo, e la neve e la legna e i turbini grigi sulla sciarpa, prima ancora che arrivi l’inverno.

Leave me alone, Cassandra


(immagine di copertina: Francesca Anita Modotti)

giovedì 29 marzo 2012

COSPIRAZIONE



(La cospirazione del Bataves, Rembrandt)




In superficie non si riconoscono perché sono troppo ripiegati su loro stessi. Come le creste dei cavalloni, precipitano sulla spiaggia a testa bassa, corna contro lame di spada.
In superficie, e sopra i banchi, sono due teste come tante, sfocate nei ricordi e nei pensieri.
Arrivano in ritardo, i primi.
Arrivano inopportuni, i secondi.
Del resto le lumache si nascondono nel guscio al primo accenno di pericolo, alla prima variazione faunistica nell'ambiente. Come, d'altronde, intere vite stanno comodamente rinchiuse in giorni, in momenti, in complicità cercate altrove, con l'inganno superfluo del non volersi dire, ah ecco, questa difficoltà che ho nel guardarti mi assale. La paura mi arrende. Così è sotto i tavoli che avviene tutto ciò che realmente avviene, quello che non si dice, quello che non si fa. E' sotto i banchi che le mani si intrecciano, in profondità. Con la febbre sincera di trovare carne come carne vuole, e ossa e sangue e muscoli. E tendini vogliosi d'essere tirati, e dita vogliose di essere intrecciate, strusciate, disegnate su carta bianca mentre lei dice tieni ferma la mano sul foglio, e sorride del gioco. E già sa che poi a casa sarà meglio di una fotografia, quella sagoma.
Intanto, in superficie, continuano a non riconoscersi e attendono ancora il buio perché è nel buio che tutto sboccia, inesorabile, nell'immediato, lì dove i volti sono temperatura e odore, lì dove l'odore e la temperatura non possono mentire. Nessuna maschera copre l'umido che le investe il ventre. Legami gli dice lei, e lo fa col corpo, chinata fin nell'angolo più remoto dei desideri. Nessuna struttura potrebbe contenere la forma incantata dal sotterfugio.
Due zanne strappano la carne, nel buio, distratte le apparenze.
Malgrado questo, domani, nulla sembrerà differente.

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