Se fossi un troiano, sarei Cassandra. Chi se ne frega degli eroi esagitati con tutte le loro fisime da Dei convinti che ostentano sapere, volere e tenacia? Sai che noia! Io voglio la resa davanti all’evidenza. Il miracolo senza cui non si puo’ stare. Io voglio un altare di pietra e pelli di bestie scannate. Conciate. E grezza, la lana, voglio intorno al collo. Voglio i velli e i confini del non ritorno. Voglio crescere come l’edera sui muri, voglio improvvisamente comparire. Come la bellezza sa fare, come tutti fingono di capire. Hai davanti quattro carte questa notte, ognuna e’ un destino. Ci sono quattro tarli diversi, c’e’ il fuoco del camino e Cassandra si piega in avanti e sorride allungando la mano. Prende dal tavolo un foglio di carta e i colori, e saluta con lo sguardo distratto. S’affaccia sospesa sul pozzo, infinito. Socchiude le labbra, non ha piu’ saliva. E qualcosa le parla, e’ una voce, sicuro, ma bisognerebbe provare. Qualcuno crede che attinga, mentre lei strilla, perche’ e’ la sua stessa vita a farle cosi’ tanto male. E nessuno la stima. Nessuno le dà retta. Nessuno le bacia la bocca rossa come la terra. Nessuno la trapassa senza lasciare impressioni, niente l’attraversa abbastanza in fretta. Cassandra ha gli occhi svelti che accolgono il tempo, e la neve e la legna e i turbini grigi sulla sciarpa, prima ancora che arrivi l’inverno.

Leave me alone, Cassandra


(immagine di copertina: Francesca Anita Modotti)

mercoledì 7 marzo 2012

NEOLOGISMI E COMPLOTTISMI



(Fotografia di Francesca Anita Modotti)

"E voi, appassionati fruitori d'altri inganni, avete piu' paura del branco o dell'esclusione?"
(NARKOTIKA E LE SUE FIGLIE, Narkotik-A)





Piccoli misteri coi buchi negli occhi passarono parola ai loro fratelli, e quelli, messi a parte di profumati segreti, li scaricarono gravosamente ai cugini distratti. A quel punto, i cugini, perduta la propria leggerezza in fatto di respiro, accusarono tutto il quartiere di aver ordito trame contro essi stessi, e si impiccarono al primo chiodo arrugginito che trovarono sul muro, dato che, del non saper respirare, è meglio dare la colpa a un colossale piano di sapienti sotterfugi tramutati in corda e forca, piuttosto che ammettere di essere nati con il tarlo ai polmoni, o peggio di essersi buscati una silicite col lavoro in miniera, incapaci di fare altro se non sottomettersi al carbone, all'emigrazione, al Belgio e al suo re schiavista.
I piccoli misteri coi buchi negli occhi si trovarono coi fratelli per discutere gli effetti del loro gioco di informazioni sussurrate alle orecchie e deliberarono, dopo animata discussione, che sarebbe stato meglio, in futuro, non tentare di aggiungere pezzi di metallo e anellini e chiodi ad altre parti del corpo. E che i fori, nei lobi e nelle pupille, erano già sufficienti a chiudere ogni ponte col resto del genere umano, a tracciare un segno di appartenenza tribale senza stare lì a vedere se quelli, gli altri umani, avevano la pelle di un colore piuttosto che di un altro. Fu una decisione semplice, dato che a quel tempo, il mondo, si estendeva dal deltoide al monte di Venere, e non di un passo in più. Tutti insieme, quindi, sbarrarono le vie che conducono al cuore con montagne di grasso e nicotina e si barricarono in cantina, come buon barbera da nobilitare in barili di rovere.
Un giorno però, alla porta, bussò uno sconosciuto glande col buco sulla testa, e si mise a urlare dopo un po' che nessuno gli rispondeva. Non voleva bere, rassicurava, voleva solo morire in un angolo caldo e riparato dal sole. Caldo sì, ma non bruciante, e umido, possibilmente, anche se questa qualità dell'ambiente non era indispensabile a che si decidesse a crepare.
Così i piccoli misteri coi buchi negli occhi e i loro fratelli guardarono il pavimento e le pareti della stanza. Una crepa si apriva a due passi dalla botte, nel fondo freddo di quella cantina. E l'offrirono al glande, dopo una superficiale analisi condotta in ecoscandaglio, senza molto ragionare su quali ripercussioni avrebbero avuto le morti consumate dentro un tumulo in pietra.
E fecero male.
Difatti, il fantasma del glande, non ci mise molto, dopo aver abbandonato il corpo, a tornare per tormentarli. Fu così che i fratelli dei piccoli misteri coi buchi negli occhi si lasciarono attraversare. E che le parole, caricate di nuovi significati e altri neologismi coniati in un ultimo sospiro, penetrarono nel cranio e nel vocabolario.

6 commenti:

  1. Glande Glande Glande sclitta da Tony Lenis x Mina (via non mi vengono mai commenti intelligenti ai tuoi post)

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    1. AHAHHAHAHAH evviva i commenti demenziali. o come cantava quel tale, meglio male...

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  2. sembra di leggere Jodorowsky in crisi di astinenza da droghe pesanti:)
    mi sa che le canne ti fanno un baffo, col whisky o whiskey (ora non ricordo cosa preferisci) eri già messo bene (dico di là) e qui che dire?
    mi sembra roba buona;)

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    1. cara, non ci crederai, ma questo e' il periodo piu' sobrio della mia vita. tra l'altro penso che siano i trip a leccare Jodorowsky, e non viceversa... :)

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  3. Vertiginosamente bello, questo pezzo.
    Sulla frase in epigrafe, per quanto mi riguarda:
    paura del branco ENORME
    paura dell'esclusione ZERO.

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  4. cio grazie di aver risposto a quella domanda. ti adoro :)

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