Sulle spine dal vento
incastonate ai merletti di aliti altrui, stavano le pietre spumose, simili a
calamari torti, perseguitate dalla vita e dalla morte, identiche in tutto alla
schiera degli esseri rinchiusi nel ciclo della respirazione. Tuttavia anche gli
ossi di seppia, a volerli credere differenti, sbiancavano al sole come le case
di calce e tufo nell'agosto del paese. L'aria era calda, il vento bollente. La
polvere invischiava le perle di sudore, unico luogo umido di quel colore. Il
bruno sulla pelle sembrava aver ceduto da poco il passo a un più deciso e denso
antrace e i capelli di Andrea spiccavano nel delirio desertico, fatto di
ominidi neri come la pece e refrattari a qualsiasi tonalità di biondo. Sotto il
primo masso scostato aveva trovato il serpente. Stando agli insegnamenti di suo
nonno, quello era il segno che entro la sera sarebbe morto. Non che il serpente
l'avesse morso, ne' alla mano ne' tanto meno al piede. Ma suo nonno raramente
aveva sbagliato un giudizio o una previsione. Anzi, a voler ben guardare, non
ricordava un solo fallo commesso da quel vecchio catramoso, talmente tanto buio
da aver resistito anche al canuto percorso dei capelli degli uomini, quando e
se resistono in testa ai morenti.
Giacché le frasche
promettevano poco sollievo, oggi, Andrea s'era calato lungo l'argine del fosso,
in mezzo a quello che di lì a poche ore sarebbe diventato il regno delle
zanzare. Ma in quel momento anche loro, le regine dell'acquitrino e della
melma, dormivano alla grossa perdendo il poco tempo che la natura concede agli
insetti. Così, accanto al marciume, più in basso, rispetto al terreno
coltivato, di almeno due metri, Andrea cercava riparo e masticava patate
bollite, e pensava che dentro la tomba, al mattino successivo, se non altro
avrebbe preso un po' di fresco. Dalle spalle della collina lontana scendevano a
onde i raggi stellari, e dall'ombra nel buco, a vederli arrivare, si aveva come
la sensazione di febbre, come il sentore di un sogno malato scivolato
nell'incubo. L'aspirazione a un qualsiasi niente, pareva, così, diseredata da
ogni possibile realizzazione. Fermo nel fosso, Andrea mirava il deserto
avanzare dall'Africa dritto sulla terra in cui era nato e non sapeva immaginare
nessuna pace, nessuna dispensa da quel tormento. Perché la notte è una tregua
armata che si dimentica al mattino, e il giorno una guerra civile che si
dimentica alla sera. E' così, pensava, che il soldato
rimpiange la pace. Allo stesso modo in cui il reduce rimpiange la guerra. I
marinai, tante volte, lo avevano sorpreso coi loro discorsi quando, tornati da
lunghe traversate ingoiate nelle stive e nei vapori delle caldaie, lamentavano
il loro dolore prima, e il senso smarrito col congedo poi. Stando alla
previsione di suo nonno, Andrea presto avrebbe smesso di praticare il tormento
per la vita, e cominciato a riconoscere quello della morte. Stando a suo nonno,
che poi in effetti era morto, nessuna creatura è libera dalle altre, e nessun
luogo è libero dalle creature.
Alle tre venne a
chiamarlo Maria, la sorella, perché era ora di tornare a vangare la polvere.
Specchiarsi nel suo volto risultava, al ragazzo, quanto di più inutile si
potesse fare. Maria era come tutti gli altri, diversa da lui stesso. Nel fisico
e nei colori. E nei pensieri. Quelli, poi, stavano inchiodati come assi
consumate dall'aria, tra il coppo e il trave, in mezzo a gechi e nidi di vespe
ronzanti. Toccarla era rischioso, oltre che inutile. Chiunque si sarebbe
sentito scoraggiato ad allungare una mano, e ancor più una parola. Maria
infatti non era stata ceduta in moglie ad alcuno. Si voleva per inclinazione
personale, per quei vespai che le frugolavano sulle gote e tra i capelli. Ma
forse non era tutta farina del suo sacco quel destino. Sembrava infatti che
principalmente, alla ragazza, fosse toccato in sorte il compito di portare
sulla soma gli sguardi del padre. Occhi puntuti, slavati, riflesso di pesce
mollo, inconsistente, appeso come salamelle a seccare sulla volta del bacino.
Una sorte inutile da contestare, appariva quella, che la ragazza trascinava da
20 anni muta come il tanfo al mercato. Di un silenzio rassegnato e putrescente.
Ho visto il serpente
sotto il primo sasso, tuttavia le confidò Andrea. E le
parole segnarono una precisa traiettoria nell'afa, lasciando una chiara scia
candida e vaporosa che dalle sue labbra rimase sospesa fin sopra le orecchie
della sorella. Lei lo squadrò, da sotto le ciglia nere. Gli prese la mano e
cominciò a camminare in direzione della collina distante. Andrea era talmente
sospeso da quel fare che rinunciò persino a chiedersene la ragione. Sentiva,
nella stretta della mano, non altro che il vento, non altro che alito tiepido.
Come se la consistenza non fosse mai stata un vero miracolo per Maria. Come se
la materia non avesse potuto infliggerle altro che apparenza, in tutti questi
anni. Giunsero all'uliveto, e Maria si fermò oltre il primo muretto. I sassi
stavano incastonati, e sotto il sole d'agosto sembravano ancora respirare.
Proprio come tutti gli esseri viventi. Maria si distese tra le spine e i cardi,
allungò una mano sulla patta di Andrea e gli cercò il pene. Glielo massaggiò
quel tanto che basta a vincere qualsiasi obiezione nell'uomo. Divaricò le cosce
e se lo spinse addosso. Con le mani infine gli afferrò le natiche e ne guidò il
movimento.
Quando ti seppelliranno,
disse dopo essersi fatta riempire, sappi che dovrai resistere al buio
solo per pochi mesi. Prima della prossima estate, ti partorirò e ce ne andremo
via da questo posto.
Tornarono
separati al campo. Prima lui, poi lei, a distanza di alcuni minuti e da
direzioni differenti. Arrivando, Andrea, udì i tonfi delle zappe sulla polvere
e sui sassi, e la voce di Matteo, il maggiore, aspra come l'istinto alla morte,
come la gola che si graffia durante l'orgasmo. Come il respiro che ti urla in
petto quando, alla sera, dal letto, viene a strapparti la morte bianca. Quando
credevi di dovere andare e invece resti. Quando ingoi per l'ultima volta nella
tua forma l'ossigeno e restituisci ai sassi il pensiero di non essere affatto,
in nulla, da loro diverso.
(Frammento caduto dal racconto "Torbida-chirurgica-assente")
impietrita come un sasso piantato per terra che quindi può anche fare a meno di girarsi a guardarsi le spalle e respira giusto giusto ogni qualche millennio, me ne stavo tranquilla, poi vengo qui e adesso sono un sasso con il singhiozzo e per tanto mi sto impolverando perchè quando sobbalzo la terra si smuove e solleva nuvolette di cenere che mi sporcano tutta e se piove mi infangheranno anche:(
RispondiEliminaich!
"ora Fango e' nelle strade sopra i muri del quartiere nelle culle dei bambini dorme non si fa vedere ma tu senti il suo calore sulla punta delle dita Fango nasce dal tuo corpo e trasforma la tua vita" (R. Gianco - Fango)
Eliminano, pensavo più una cosa tipo: fango siamo e fango torneremo (però grazie, è carina la canzone:)
Eliminama non eravamo polvere??? :)
EliminaPerelà è stata una scoperta casa è davvero un bel libro sulla caduta dei miti...mi ha sorpreso!
RispondiEliminaTi bacio
pensa: il futurismo che converge in Starace. la cultura fa strani giri davvero...
Eliminalla pace tra i sassi. almeno
EliminaBianco
chissa'... :)
EliminaUn sasso, ma levigato. E di torrente.
RispondiElimina"[...] La follia e’ liscia come un ciottolo di fiume.
EliminaTi sorprenderebbe trovarne umido il cuore?"
(da Pirro al mercato, Promessa)