Se fossi un troiano, sarei Cassandra. Chi se ne frega degli eroi esagitati con tutte le loro fisime da Dei convinti che ostentano sapere, volere e tenacia? Sai che noia! Io voglio la resa davanti all’evidenza. Il miracolo senza cui non si puo’ stare. Io voglio un altare di pietra e pelli di bestie scannate. Conciate. E grezza, la lana, voglio intorno al collo. Voglio i velli e i confini del non ritorno. Voglio crescere come l’edera sui muri, voglio improvvisamente comparire. Come la bellezza sa fare, come tutti fingono di capire. Hai davanti quattro carte questa notte, ognuna e’ un destino. Ci sono quattro tarli diversi, c’e’ il fuoco del camino e Cassandra si piega in avanti e sorride allungando la mano. Prende dal tavolo un foglio di carta e i colori, e saluta con lo sguardo distratto. S’affaccia sospesa sul pozzo, infinito. Socchiude le labbra, non ha piu’ saliva. E qualcosa le parla, e’ una voce, sicuro, ma bisognerebbe provare. Qualcuno crede che attinga, mentre lei strilla, perche’ e’ la sua stessa vita a farle cosi’ tanto male. E nessuno la stima. Nessuno le dà retta. Nessuno le bacia la bocca rossa come la terra. Nessuno la trapassa senza lasciare impressioni, niente l’attraversa abbastanza in fretta. Cassandra ha gli occhi svelti che accolgono il tempo, e la neve e la legna e i turbini grigi sulla sciarpa, prima ancora che arrivi l’inverno.

Leave me alone, Cassandra


(immagine di copertina: Francesca Anita Modotti)

giovedì 29 marzo 2012

RESPIRAZIONE

Sulle spine dal vento incastonate ai merletti di aliti altrui, stavano le pietre spumose, simili a calamari torti, perseguitate dalla vita e dalla morte, identiche in tutto alla schiera degli esseri rinchiusi nel ciclo della respirazione. Tuttavia anche gli ossi di seppia, a volerli credere differenti, sbiancavano al sole come le case di calce e tufo nell'agosto del paese. L'aria era calda, il vento bollente. La polvere invischiava le perle di sudore, unico luogo umido di quel colore. Il bruno sulla pelle sembrava aver ceduto da poco il passo a un più deciso e denso antrace e i capelli di Andrea spiccavano nel delirio desertico, fatto di ominidi neri come la pece e refrattari a qualsiasi tonalità di biondo. Sotto il primo masso scostato aveva trovato il serpente. Stando agli insegnamenti di suo nonno, quello era il segno che entro la sera sarebbe morto. Non che il serpente l'avesse morso, ne' alla mano ne' tanto meno al piede. Ma suo nonno raramente aveva sbagliato un giudizio o una previsione. Anzi, a voler ben guardare, non ricordava un solo fallo commesso da quel vecchio catramoso, talmente tanto buio da aver resistito anche al canuto percorso dei capelli degli uomini, quando e se resistono in testa ai morenti.
Giacché le frasche promettevano poco sollievo, oggi, Andrea s'era calato lungo l'argine del fosso, in mezzo a quello che di lì a poche ore sarebbe diventato il regno delle zanzare. Ma in quel momento anche loro, le regine dell'acquitrino e della melma, dormivano alla grossa perdendo il poco tempo che la natura concede agli insetti. Così, accanto al marciume, più in basso, rispetto al terreno coltivato, di almeno due metri, Andrea cercava riparo e masticava patate bollite, e pensava che dentro la tomba, al mattino successivo, se non altro avrebbe preso un po' di fresco. Dalle spalle della collina lontana scendevano a onde i raggi stellari, e dall'ombra nel buco, a vederli arrivare, si aveva come la sensazione di febbre, come il sentore di un sogno malato scivolato nell'incubo. L'aspirazione a un qualsiasi niente, pareva, così, diseredata da ogni possibile realizzazione. Fermo nel fosso, Andrea mirava il deserto avanzare dall'Africa dritto sulla terra in cui era nato e non sapeva immaginare nessuna pace, nessuna dispensa da quel tormento. Perché la notte è una tregua armata che si dimentica al mattino, e il giorno una guerra civile che si dimentica alla sera. E' così, pensava, che il soldato rimpiange la pace. Allo stesso modo in cui il reduce rimpiange la guerra. I marinai, tante volte, lo avevano sorpreso coi loro discorsi quando, tornati da lunghe traversate ingoiate nelle stive e nei vapori delle caldaie, lamentavano il loro dolore prima, e il senso smarrito col congedo poi. Stando alla previsione di suo nonno, Andrea presto avrebbe smesso di praticare il tormento per la vita, e cominciato a riconoscere quello della morte. Stando a suo nonno, che poi in effetti era morto, nessuna creatura è libera dalle altre, e nessun luogo è libero dalle creature.
Alle tre venne a chiamarlo Maria, la sorella, perché era ora di tornare a vangare la polvere. Specchiarsi nel suo volto risultava, al ragazzo, quanto di più inutile si potesse fare. Maria era come tutti gli altri, diversa da lui stesso. Nel fisico e nei colori. E nei pensieri. Quelli, poi, stavano inchiodati come assi consumate dall'aria, tra il coppo e il trave, in mezzo a gechi e nidi di vespe ronzanti. Toccarla era rischioso, oltre che inutile. Chiunque si sarebbe sentito scoraggiato ad allungare una mano, e ancor più una parola. Maria infatti non era stata ceduta in moglie ad alcuno. Si voleva per inclinazione personale, per quei vespai che le frugolavano sulle gote e tra i capelli. Ma forse non era tutta farina del suo sacco quel destino. Sembrava infatti che principalmente, alla ragazza, fosse toccato in sorte il compito di portare sulla soma gli sguardi del padre. Occhi puntuti, slavati, riflesso di pesce mollo, inconsistente, appeso come salamelle a seccare sulla volta del bacino. Una sorte inutile da contestare, appariva quella, che la ragazza trascinava da 20 anni muta come il tanfo al mercato. Di un silenzio rassegnato e putrescente.
Ho visto il serpente sotto il primo sasso, tuttavia le confidò Andrea. E le parole segnarono una precisa traiettoria nell'afa, lasciando una chiara scia candida e vaporosa che dalle sue labbra rimase sospesa fin sopra le orecchie della sorella. Lei lo squadrò, da sotto le ciglia nere. Gli prese la mano e cominciò a camminare in direzione della collina distante. Andrea era talmente sospeso da quel fare che rinunciò persino a chiedersene la ragione. Sentiva, nella stretta della mano, non altro che il vento, non altro che alito tiepido. Come se la consistenza non fosse mai stata un vero miracolo per Maria. Come se la materia non avesse potuto infliggerle altro che apparenza, in tutti questi anni. Giunsero all'uliveto, e Maria si fermò oltre il primo muretto. I sassi stavano incastonati, e sotto il sole d'agosto sembravano ancora respirare. Proprio come tutti gli esseri viventi. Maria si distese tra le spine e i cardi, allungò una mano sulla patta di Andrea e gli cercò il pene. Glielo massaggiò quel tanto che basta a vincere qualsiasi obiezione nell'uomo. Divaricò le cosce e se lo spinse addosso. Con le mani infine gli afferrò le natiche e ne guidò il movimento.
Quando ti seppelliranno, disse dopo essersi fatta riempire, sappi che dovrai resistere al buio solo per pochi mesi. Prima della prossima estate, ti partorirò e ce ne andremo via da questo posto.

Tornarono separati al campo. Prima lui, poi lei, a distanza di alcuni minuti e da direzioni differenti. Arrivando, Andrea, udì i tonfi delle zappe sulla polvere e sui sassi, e la voce di Matteo, il maggiore, aspra come l'istinto alla morte, come la gola che si graffia durante l'orgasmo. Come il respiro che ti urla in petto quando, alla sera, dal letto, viene a strapparti la morte bianca. Quando credevi di dovere andare e invece resti. Quando ingoi per l'ultima volta nella tua forma l'ossigeno e restituisci ai sassi il pensiero di non essere affatto, in nulla, da loro diverso.

(Frammento caduto dal racconto "Torbida-chirurgica-assente")

10 commenti:

  1. impietrita come un sasso piantato per terra che quindi può anche fare a meno di girarsi a guardarsi le spalle e respira giusto giusto ogni qualche millennio, me ne stavo tranquilla, poi vengo qui e adesso sono un sasso con il singhiozzo e per tanto mi sto impolverando perchè quando sobbalzo la terra si smuove e solleva nuvolette di cenere che mi sporcano tutta e se piove mi infangheranno anche:(
    ich!

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    1. "ora Fango e' nelle strade sopra i muri del quartiere nelle culle dei bambini dorme non si fa vedere ma tu senti il suo calore sulla punta delle dita Fango nasce dal tuo corpo e trasforma la tua vita" (R. Gianco - Fango)

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    2. no, pensavo più una cosa tipo: fango siamo e fango torneremo (però grazie, è carina la canzone:)

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    3. ma non eravamo polvere??? :)

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  2. Perelà è stata una scoperta casa è davvero un bel libro sulla caduta dei miti...mi ha sorpreso!

    Ti bacio

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    1. pensa: il futurismo che converge in Starace. la cultura fa strani giri davvero...

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    2. lla pace tra i sassi. almeno
      Bianco

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  3. Un sasso, ma levigato. E di torrente.

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    1. "[...] La follia e’ liscia come un ciottolo di fiume.
      Ti sorprenderebbe trovarne umido il cuore?"

      (da Pirro al mercato, Promessa)

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