(Immagine dal web)
(“Me compreso.” H. Miller)
Si
barcamenavano come meglio sapevano e s'appigliavano nel modo che riuscivano a
fare. A immaginare. Tutto pareva buono all'uso, ma ognuno ambiva,
incredibilmente, al collo. Non so perché fosse in effetti così, dato che,
precipitando, un braccio saldo è meglio di uno stelo e non molti posseggono una
base per la testa degna di un boxeur. E poi ci sono anche altre appetibili
parti nei corpi. Certo, non tutti hanno peni enormi e tosti, non tutte hanno
culi o tette marmoree, ma da qui a scegliere sempre e comunque un risicato
fascio di nervi e vene, ce ne passa. Persino i capelli sembrano più invitanti,
in certi frangenti, se non altro per il richiamo a vecchie fiabe dove giovani
principesse calano lunghe trecce da enormi torri per consentire ai baldi cavalieri
di arrampicarsi fin sopra il fiorito davanzale. Ecco, posso capire che nessuno
volesse attaccare il grembo. Farò finta di credere che fosse per rispetto alla
venerabile madre o per paura di trovarsi a tu per tu, lì sospesi, con lo scroto
del padre. Ma davvero no, non capirò mai perché a ciascuno piacesse cercare
l'altrui gola. Da stringere come la corda di una campana. Da suonare. Per farsi
dire sì, per farsi dire no. Per far tacere all'occorrenza il malcapitato. E ne
avrei pena, del disgraziato, non fosse che tutti erano disgraziati e ciascuno
stringeva un collo. Tutti anelli della stessa catena. Quella del cesso.
Vale anche per i colli gozzosi? Comunque... quanto è vera sta cosa, miseria. (sucre)
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