Se fossi un troiano, sarei Cassandra. Chi se ne frega degli eroi esagitati con tutte le loro fisime da Dei convinti che ostentano sapere, volere e tenacia? Sai che noia! Io voglio la resa davanti all’evidenza. Il miracolo senza cui non si puo’ stare. Io voglio un altare di pietra e pelli di bestie scannate. Conciate. E grezza, la lana, voglio intorno al collo. Voglio i velli e i confini del non ritorno. Voglio crescere come l’edera sui muri, voglio improvvisamente comparire. Come la bellezza sa fare, come tutti fingono di capire. Hai davanti quattro carte questa notte, ognuna e’ un destino. Ci sono quattro tarli diversi, c’e’ il fuoco del camino e Cassandra si piega in avanti e sorride allungando la mano. Prende dal tavolo un foglio di carta e i colori, e saluta con lo sguardo distratto. S’affaccia sospesa sul pozzo, infinito. Socchiude le labbra, non ha piu’ saliva. E qualcosa le parla, e’ una voce, sicuro, ma bisognerebbe provare. Qualcuno crede che attinga, mentre lei strilla, perche’ e’ la sua stessa vita a farle cosi’ tanto male. E nessuno la stima. Nessuno le dà retta. Nessuno le bacia la bocca rossa come la terra. Nessuno la trapassa senza lasciare impressioni, niente l’attraversa abbastanza in fretta. Cassandra ha gli occhi svelti che accolgono il tempo, e la neve e la legna e i turbini grigi sulla sciarpa, prima ancora che arrivi l’inverno.

Leave me alone, Cassandra


(immagine di copertina: Francesca Anita Modotti)

venerdì 27 luglio 2012

GIALLO - CONGENITA



(Immagine dal web)



Ci allenavamo come tartarughe stoiche sotto copertoni d'alluminio e piombo, apparentemente insensibili ai tarli che nella mente scavavano e deponevano uova quali distrofia, iperuricemia, saturnismo. Facevano capolino, quelli, ogni tanto, pari ai vermi dentro alle susine. Che tu spaccavi in due e io no, pur sapendo e bene che sovente all'interno delle susine un verme si nasconde. E le orme? Le seguivi, le seguivo? Ci seguiva qualcuno da lontano? Dicevo, sono proteine, intanto. Ma in realtà non mangiavo. Non lo trovavo necessario. Ecco, io non trovo necessario compiere una sequela di gesti che gli altri compiono. Per esempio preferisco di gran lunga morire che farmi diagnosticare un male. Non lo credete? Liberissimi di farlo. Però mi rendo conto che, nel racconto, spesso passo per uno sborone, per uno che vuole per forza averci ragione. E' che i fatti uno li legge, e anche se non sa dove l'altro vuole andare a parare, ce lo porta da sé, come se fosse quella l'unica direzione. E invece magari chi racconta non ha nessuna intenzione. Se non di dire ecco, io questo sono, misero me stesso con al massimo una passione. Bene, dai, due. Due passioni. Tre, facciamo tre, ma poi basta, che sennò sarei certo di esagerare. Insomma, una delle mie passioni, è quella di non curarmi da nessun male. O meglio, di curarmi da me, senza ausilio del dottore. Perché io non ci credo che quelli sappiano mai cosa fare. Non ci credo, come non credo al chiromante. Poi sì, riconosco che esistono grandi persone. Persone aperte e che sanno ascoltare, che sanno parlare, che ti sanno toccare. E che di passione magari ne hanno una sola e di quella fanno professione. Ma anche lì, devi scommettere. Uno, di trovarne. E due, che quelli non ti beffino giocandosi l'abilità maturata per fotterti. Che non ne abbiano insomma motivo, di fotterti. Perché di certo, se chiedi, gliene dai l'occasione. Io fuggo le diagnosi. Sbagliate o anche esatte. La diagnosi prevede come conseguenza quasi automatica che tu metta in mano al dio le chiavi del tuo destino. E se dio non esiste, ecco, di sicuro esistono il boia, il chirurgo e il secondino. E allora no, non ce la faccio a mettermi in quelle mani sconosciute. E dato che da solo io vivo e da sempre, non ce la faccio a guardare le mani di nessuno senza vederle un po' lorde, un po' sporche, un po' con le ossa rotte. E allora se racconto un fatto, lo racconto per dire questo, non per vantare la mia onniscienza presunta o proclamata. Non per dire che io so, ma per affermare che io ho. Cosa? Ma paura, naturalmente. Narro qualche volta, ad esempio, di Oronzo e Marco, morti gialli. Gialli come il melone. Capitò semplicemente che prima uno e poi l'altro si colorarono di ittero. A distanza di tempo e spazio, come se si fossero messi d'accordo in un lontano giorno su quale fosse l'arrivo, prima di lanciarsi in percorsi separati da scelte e caso. Già la partenza l'avevano vissuta insieme. Stesso quartiere, stesso bar e stessa compagnia. La mia. Pronti e via. E dopo nemmeno un quarto di secolo che succede? Oronzo si fa giallo e gli diagnosticano un tumore. Sei mesi di terapia e poi muore. Livido, un cencio. Spaccato come un femore. E 3 anni dopo anche Marco si fa giallo. E aveva già una figlia, una figlia appena nata. Anche lui si consegnò nelle mani della scienza, e lo disseminarono di cose strane e radiazioni e lo asciugarono come il letto di un fiume, a lui che era sempre stato in piena. Uno straccio, quando morì, era uno straccio. Del resto non sarebbe sopravvissuto a quel massacro nemmeno fosse stato un gorilla. Così quando dico che da giallo io mi sono fatto lasciare su di un prato, e che lì sono rimasto limitando ogni attività, ogni pensiero, e che poi son guarito tant'è che adesso scrivo, non voglio dare a intendere che sapevo bene come salvarmi la vita. Dico che pensavo potesse essere finita. E non volevo in nessuna maniera essere tentato o soggetto a pazzi che mi avrebbero, visto in coma, trasportato all'ospedale. Ho preferito strisciare. Da solo, strisciare. Ho preferito succhiarmi il male. E sì, sono stato una schifezza. Per 10 giorni senza riuscire a muovere un muscolo. Un dolore infame quando letteralmente mi rotolavo fuori dalla tenda. L'acqua aveva un sapore strano. Il tonno... beh... non ne parliamo. Per pisciare ogni volta era un vero tormento. E cagare cagavo poco per fortuna, e nemmeno ce la facevo a pulirmi il culo. Spasmi, vomito, svenimenti. Erano dolorosi anche i pensieri. Stavo all'ombra, era tutto quel che potevo. Avvolto in un sacco a pelo che già chiamavo sudario. E dopo 10 giorni, ho cominciato a sentirmi meglio. Ma capogiri e sfinimento li ho portati col giallo addosso ancora per mesi. Adesso sono passati 7 anni, e sono in piena forma. Una freccia. Ma non consiglierei a nessuno di comportarsi come ho fatto io. Certo, nemmeno gli direi di seguire la sorte di quei miei due amici... ma come si può dare indicazioni a qualcuno su come comportarsi quando sente l'anima svaporare? Come si può dire fai così o fai cosà? Sarebbe come diagnosticare. Sarebbe come dargli un filo a cui attaccarsi e pensare tu per lui. Sarebbe imporre all'altro la tentazione o la tua decisione. Quindi andate e fate, cantava quel panzone alcolizzato. E andate e fate ragazzi, cosa devo dirvi? Invidio un po' il vostro coraggio, la vostra spinta verso il bruno deserto. Tanta sete... e tutto allo scoperto.

16 commenti:

  1. Ecco..non nascondo di essere leggermente ipocondriaca. Si, ma sono una ipocondriaca strana…una ipocondriaca che a volte teme di avere qualche brutto male, ma non vuole sapere cosa.
    Non amo i medici, e potendo ci starei sempre alla larga. I farmaci ??? Ma proprio quando non ce la faccio più a sopportare un dolore…ma è davvero l’estrema ratio. Non amo sentirmi le mani addosso e non amo quello sguardo indagatore con cui i medici sembra vogliano necessariamente trovare qualcosa che non va.
    Sono consapevole che le così dette “diagnosi precoci” salvano la vita..ma se davvero scoprissi di avere un brutto male, e se questo male non fosse curabile, preferirei passare i miei ultimi giorni vivendo, piuttosto che subendo cure e accanimenti di varia natura.
    Dare consigli a qualcuno ?? Mamma mia..alla fine un consiglio nasce sempre da quella che è la propria esperienza, ma non sempre le esperienze, seppur simili, coincidono. I consigli sono pericolosi, possono trasformarsi in bumerang. Forse è preferibile limitarsi ad esprimere il proprio punto di vista..chi ascolta, se ritiene, potrà decidere o meno di farne tesoro.
    P.S. Sai che non l’avevo mai considerata una passione quella di non curarsi da nessun male ??
    P.P.S. Credo che trasformare le passioni in lavoro significhi un po’ snaturarle di quella che dovrebbe essere la leggerezza con cui si vivono.
    P.P.P.S. Se ti sembro un pochino sconnessa..ricorda sempre che stanotte non ho dormito ;) Un bel sigaro, ora, ci starebbe tutto..e pensa che io non fumo più da quasi 4 anni..e ho detto tutto !

    RispondiElimina
    Risposte
    1. l'ultima volta che ho fumato un sigaro e' stato nell'agosto del 2011, in un ecovillaggio. mi sono sentito male! e non sono ipocondriaco :) in quanto ai punti di vista... beh, non e' che ci tenga particolarmente. i consigli purtroppo la gente te li chiede, tu (impersonale) cerchi di glissare, anche perche', come dici te, le esperienze non combaciano mai o quasi. insomma... al limite mi piace raccontare quello che mi capita. e nemmeno sempre. facciamo neanche spesso, va. :) e se ti sembro sconnesso... non ho scuse. lo sono :)

      Elimina
    2. ps conosco diagnosi cosi' precoci che hanno ucciso neonati :)

      Elimina
    3. Anche io non ci tengo particolarmente ai punti di vista :)
      Mi sembi sconnesso al punto giusto..che poi, è così bello sentirsi ed essere sconnessi ;)

      Elimina
    4. vero. anche se detto da due blogger che essere sconnessi e' bello, pare quasi il colmo :)

      Elimina
  2. ...tu sai già come la penso...e perchè... :-)
    sono perfettamente d'accordo con te...
    ne ho visti troppi annientati da cure non necessarie...o inutili...
    la presunzione della medicina ( e chi la esercita) è quanto di più pericoloso si possa incontrare...
    Ciao grande Kap...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. ciao grande Luisa. allora? il cinghiale vi aspetta... ;)

      Elimina
  3. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

    RispondiElimina
  4. sì...arriviamoooo...!!!!!! ;-)
    ( avevo commentato con l'altro account...ma non volevo confonderti troppo.. :-))))))

    RispondiElimina
  5. pensavo anch'io che fossero inutili.. i medici, dico. Poi ne ho incontrato uno sano, di quelli che ti vengono a cercare perché sanno che hai un problema, ti parla, invece che farti parlare, e la diagnosi la fai tu insieme a lui: poi ti cura, non curandoti. Son passati sette anni e sono ancora qua. Lui non c'è più. Ma, credo, se fossi andata, lo avrei fatto tranquillamente

    RispondiElimina
    Risposte
    1. anche Cassandra crede che ci siano delle grandi persone :)

      Elimina
  6. Posso dire che un buon dottore ti salva, mi è capitato, ma di buoni a qualchecosa ce ne pochi in giro in ogni campo, perciò concordo - anche non estremizzando - che ci vorebbe cautela a seguire cure su cure, quando spesso è il nostro spirito ad essere malato , più che il corpo. Mi scriveresti tu che al terzo whiskey di spirito c'è ne d'avanzo ........ miaoooùùùùùùùùùùùùù

    RispondiElimina
    Risposte
    1. e lo ribadisco... Cassandra non nega che esistano delle grandi persone. in nessun campo, mancano. o forse in qualche campo si... :P

      Elimina
  7. Condivisibbile, sotto moltissimi aspetti quello che scrivi; e lo sento ancor più questi giorni, che io sono una che mette su le mani per passione, e senza lucrarci su (anzi lo stato fa di tutto perché io nemmeno sopravviva), e poi se mi trovo davanti uno che non può più alimentarsi da se, gli dico, a quelli che sono intorno: se capita a me, fatemi morire di fame, magari, ma fatemi morire. Datemi la scelta di far tentare al mio organismo la vita, o la morte, ma non tenetemi ad ogni costo...
    Bel post.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. grazie Lila. anche io ho chiesto questo a chi mi sta vicino. ma sinceramente ho visto gente impazzire per il dolore. sia proprio sia dei propri cari. tocca mettersi in salvo. tirarsi lontano da tentazioni che conducono a illusioni effimere e fregature, e da folli impazziti preoccupati e disperati.

      Elimina