Se fossi un troiano, sarei Cassandra. Chi se ne frega degli eroi esagitati con tutte le loro fisime da Dei convinti che ostentano sapere, volere e tenacia? Sai che noia! Io voglio la resa davanti all’evidenza. Il miracolo senza cui non si puo’ stare. Io voglio un altare di pietra e pelli di bestie scannate. Conciate. E grezza, la lana, voglio intorno al collo. Voglio i velli e i confini del non ritorno. Voglio crescere come l’edera sui muri, voglio improvvisamente comparire. Come la bellezza sa fare, come tutti fingono di capire. Hai davanti quattro carte questa notte, ognuna e’ un destino. Ci sono quattro tarli diversi, c’e’ il fuoco del camino e Cassandra si piega in avanti e sorride allungando la mano. Prende dal tavolo un foglio di carta e i colori, e saluta con lo sguardo distratto. S’affaccia sospesa sul pozzo, infinito. Socchiude le labbra, non ha piu’ saliva. E qualcosa le parla, e’ una voce, sicuro, ma bisognerebbe provare. Qualcuno crede che attinga, mentre lei strilla, perche’ e’ la sua stessa vita a farle cosi’ tanto male. E nessuno la stima. Nessuno le dà retta. Nessuno le bacia la bocca rossa come la terra. Nessuno la trapassa senza lasciare impressioni, niente l’attraversa abbastanza in fretta. Cassandra ha gli occhi svelti che accolgono il tempo, e la neve e la legna e i turbini grigi sulla sciarpa, prima ancora che arrivi l’inverno.

Leave me alone, Cassandra


(immagine di copertina: Francesca Anita Modotti)

domenica 5 febbraio 2012

DRUDO - VARIAZIONE SUL TEMA DELL'AVVELENATO

Ciò che segue è la ferma risposta di un vile alla vita. Sdrucita, agognata, lamata di fresco, lavata col sangue. Si dice che andò così, che cominciò così e che all'inizio non sapesse neanche lui cosa fare. Come del resto, anche in seguito non cambiò, rimase uguale, lo stesso ma nonostante questo, il resto è diverso da che si potrebbe immaginare. Dal principio, dunque, furono equilibri tra Persepoli e Sparta, o cose come invecchiare e addolcire, i contrari e i diversi a inseguire. Poi fu il delirio, la notte, lo scontro. Il saccheggio. E in coda non rimase niente altro che un racconto. Questo.
Drudo si svegliò all'alba per andare a pisciare. Come è noto, a una certa età, le funzioni fisiologiche cessano di mandare informazioni al cervello, Quindi lui fu contento, come lo era spesso, di essersi svegliato anche quella mattina asciutto, e non piuttosto in un lago di urina, giallo da far vomitare..
Il vecchio Alfredo ne aveva di problemi simili, e già da sei anni. Li andava confidando a Drudo, perché sapeva di potersi fidare. Drudo, in effetti, era uno che si faceva i fatti suoi, e sapeva i fatti di tutti come si sanno le parole di certe filastrocche. Perché la gente ama comunicarsi al mondo, ma preferisce che il mondo faccia finta, al momento opportuno, di sapere ignorare.
Dopo aver pisciato da seduto, e non per un fatto di mira, quanto piuttosto per un fatto d'igiene, il vecchio Drudo si accomodò sul divano, unico posto libero da oggetti di tutto l'appartamento. Era un caso che così fosse, anche quello era un caso, visto che Luca, il vicino, glielo aveva sgombrato la mattina precedente, non sapendo bene dove sedersi durante la visita di cortesia settimanale. E dalla mattina precedente ancora non aveva fatto in tempo, lui, Drudo, uomo solo e ramingo, a depositarci sopra i resti del proprio sconclusionato ciondolare.
Da che la moglie era morta, ormai trent'anni prima, viveva nel caos degli oggetti inanimati. Che malgrado tali fossero, erano anche tanti come i minuti che procedono dalla nascita verso un ipotetico avvenire. Tali e tanti, erano, da avere poco effetto sul suo sonno e sui ricordi, ma abbastanza da renderlo succube dello spazio e dei volumi.
In effetti, la moglie, gli aveva lasciato un buon addestramento in fatto di igiene, avendolo addomesticato fin da subito alla pratica della minzione da seduto, per esempio, ma nulla aveva ottenuto dal tentativo di combattere la facilità dell'uomo al disordine. Del resto, lei, la moglie, cosa avrebbe mai potuto ricavare con la tecnica adottata, e che prevedeva non tanto porre rimedi al comportamento, quanto mettere un argine ai suoi effetti?
Forse era stata più che altro la volontà di conservare lo scettro, o il controllo della casa, a determinarne le scelte. E infatti s'era limitata, per tutta la vita, a pulire e riordinare lamentandosi, ciò che l'uomo spargeva in giro come fosse un vento. Tutto, pur di non insegnargli dove andava appeso il cappotto, dove andava riposto il pane, dove andavano stipate le mutande. Ancora trent'anni fa, con la morte stampata in faccia, era lei a mettere sul letto la biancheria intima del marito. E solamente sul punto di spirare gli aveva rivelato dove nascondesse le spezie per la cucina.
Per la minzione, no, non era stato in fondo diverso. Anche quello un modo per far sentire l'uomo ospite sopportato persino nella stanza del cesso. E lui, da ospite, ci aveva vissuto bene. Perché in fondo sedersi sul wc a pisciare non era questo grande sforzo. E chiedere, sempre chiedere, dov'è questo e dove è quello, era un ben magro prezzo da dover pagare in cambio dell'impunità per reati come l'incuria e per inestimabili e ambitissime possibilità tipo quella di restare in qualche modo bambini, per sempre.
Alle sei e venti squillò il telefono, ma spingersi fino alla cornetta risultò operazione impossibile. Le reni gridarono un ALT! prima ancora dell'abbozzo di un tentativo. E così Drudo lasciò che il telefono urlasse, si raccapezzasse e capisse che, con quaranta minuti da dover impilare fino a toccare le sette, era ancora troppo presto per pretendere di sentire un pronto da questo lato del mondo. E se anche fossero state le dieci, certo Drudo non avrebbe risposto. Non aveva nulla da dire, e niente sapeva. A che pro quindi dare ascolto? Fossero state le dieci, o le undici, o anche più tardi, avrebbe raggiunto l'apparecchio e l'avrebbe guardato. Solamente guardato, come faceva da anni.
La parete di fronte al divano, incorniciava lo schermo di una vecchia televisione spenta, e lui la guardava. La parete, non la televisione. Guardava la parete e aspettava che le reni si scaldassero. Inevitabilmente si sentì come si doveva essere sentita la Grecia in bocca a Mussolini, quando quello l'aveva minacciata di spezzarle gli organi. E rise. Rise, Drudo, di quel paragone e di un unico ricordo: sua moglie da bimba col gatto di pezza chiamato Rene o Giramondo. Lui se lo ricordava bene, poiché quella donna l'aveva conosciuta da ragazzetto 12enne, quando era lei ancora poco più che un cecio di pasta in un bicchiere.
Dire che se ne fosse innamorato subito, sarebbe dire una bugia. Dire che lei l'aveva amato dal primo momento, sarebbe dire la verità. Dire che s'erano aspettati, poco e male, sarebbe dire com'era andata.
Quando Drudo partì militare aveva 21 anni. Rimase in fermo per 38 mesi. Partendo, vide la sua futura moglie salutarlo col fazzoletto, affacciata dalla finestra di casa. E sorrise alla bambina, che tale era allora, essendo di otto primavere più giovane.
Nei tre anni di fermo, per lui, ci furono bordelli e malattie veneree. E lettere ad amanti improbabili di paesi in cui a malapena si capiva che fossero, anche quelli, italiani.
Drudo non amava scrivere, amava solo dormire. E si faceva beffe di quanti altri seguivano i treni del crescere appresso a un libro, o a qualche fantasia legata a forme oniriche lontane dal sogno nel sonno.
Drudo cercava di non notare niente, perché s'era accorto che più era distratto di giorno, più al buio si facevano vivide le immagini. E così una notte aveva incontrato persino la Morte. E quella l'aveva trattato da pari, come se nulla li separasse. Non lo spirito, non la materia. Come fossero figli del mondo alla stessa maniera
Dal canto suo, la bambina col gatto di pezza, aveva vissuto alla finestra con le sue trecce appese. E sì, fantasticando del ritorno del ragazzo e di quello che dalle trecce sarebbe salito su fino alla camera, ma aveva col tempo capito che un gelato vale bene una mano nei pantaloni di certi signori. E che ad agitare un pene, se ne otteneva sempre qualcosa di buono.
Poi Drudo, un giorno, tornò. con la bisaccia e i baffi, e un ceppetto tra i denti. Sorrideva, e si faceva il grande e il gradasso.
Adesso, ci sono casi, tempi o errori minimali, che definiscono dal principio il verso di una relazione. E come un oltraggio, come un presagio, per quanto la ragazzina avesse atteso in finestra, quel giorno fatidico, proprio quello, lì non c'era. E si perse il ritorno dell'uomo, e gli abbracci ai parenti, e le corbellerie che andava dicendo per la via, come fosse un eroe di guerra tornato dal fronte, quando il fronte non c'era e la guerra nemmeno. E non si videro neanche alla sera, che lei rientrò dal lavoro, e lui intanto montava il turno in osteria, a far fuori l'ultima paga da milite in bicchieri di vino e salame. E come un salame finì, Drudo, quella notte, ubriaco e sciatto, a dormire appoggiato alla ruota di un carro, all'incrocio col Corso del loro paese. E russando e scolando dal naso, non fece una splendida impressione alla ragazza, quando questa s'accompagnò alla sorella per andare a riempire le taniche d'acqua al fontanile. Ecco, la sorella rise nel vedere quel tipo baffuto e svenuto. La ragazzina invece no, si fece prendere piuttosto dall'ira. Forse per essere stata, malgrado i sogni, non lei la prima a riconoscerlo sulla via del ritorno. Di essere stata ne' prima, ne' seconda, ne' terza e nemmeno quarta. Di essere finita in coda, persino dietro i compagni di osteria. Così poggiò uno dei secchi che aveva addosso e con l'altro, presolo coi due palmi, investì l'uomo di un getto d'acqua gelata, e non volle parlargli che molto, ma molto più tardi. Era talmente tanto tardi, quando gli parlò, che quello s'era persino cambiato e rasato i baffi.
In quanto a Drudo c'è da dire che l'aveva guardata andare via senza fiato nella gola, sussultando, in preda a un qualche disguido nel reclutamento, che a lui, fante, era sembrato per un istante l'avessero trasferito in Marina, e che in un qualche affondamento or ora stesse morendo.
Drudo l'acqua non l'amava, non la beveva, non la usava. Ma era altresì poco uso a passare da stati di coma a stati d'azione. E se l'aria gli era mancata per più di un secondo, c'era eccome una ragione. Perché sì, il primo soffocamento era stato dovuto alla secchiata che gli avevano tirato... ma poi fu solo l'immagine di una giovane donna imbronciata che va via, a renderlo un fesso cianotico e imbambolato.
La vide andare via, la seguì con gli occhi, e con gli occhi la vide entrare nel portone. E pur non essendo un genio nelle addizioni, capì al volto come il tempo scorra e sopra certe forme faccia dei gran bei servizi, dei gran bei lavori. Si lavò, si tagliò i baffi, e l'aspettò per diverse ore giù in cortile. Quindi sì, ci parlò che era tanto più tardi, e lei lo prese al guinzaglio fissandolo negli occhi. Al guinzaglio lo prese, come un mulo, o come un cane. E da quel momento furono solo due figuranti del circo. Si sposarono, non ebbero figli, e dopo pochi anni si ripresentò la Morte.
Si ripresentò come un dazio da pagare, come un ispettore delle tasse, come un giocatore che gioca duro, che non ha bisogno nemmeno della sorte. O che così lascia capire.
Certo, Drudo sapeva che Quella non è la scacchiera. Che per quanto sia brava, è pur sempre e solo un giocatore. E che l'abilità di far credere all'avversario d'essere più di un pari, è l''unica mossa che assicuri la vittoria. La Sua strategia. Il colpo segreto e vincente in uso alla Nera Signora. E sapendolo, Drudo, che non capiva niente altro oltre a questa bella scienza dal nome "sopravvivenza", La lasciò fuori, nel cortile, ad aspettare. L'ignorava, e Quella bussava, finché non fu per Lei il momento di andare. Perché la Morte e il Tempo sono due cose diverse, non c'è molto altro da dire. Una fa servizio... l'altro ne raccoglie i frutti in divenire.
La Morte però, del Tempo, è buona serviente. Ligia. Cosicché ogni volta andava via, e poi tornava immancabilmente.
Vennero a patti, alla fine dovettero farlo. Ogni giorno che Quella si presentò alla porta, se ne andò via con un velo nuovo sugli occhi vuoti.
Il velo Drudo lo cuciva alla mattina. Lo confezionava con cura, in due gocce di veleno che mescolava al vino della moglie, Per trent'anni l'avvelenò, e mentre quella sbiancava, la Morte riempiva il suo padrone di doni. Tele con merletti, agapi, rose, petali e altri fiori. Ogni stilla di veleno era un giorno guadagnato. E quando alla fine la moglie morì di lenta consumazione , Drudo era stato dimenticato.
Così adesso di anni ne ha circa 100. Marcisce e non risponde al telefono, ne' alle lettere che qualche volta il mondo gli scrive. E di sé non sa nulla, se non il fatto che è sopravvissuto. E sopravvive, girandoci attorno, anche quando inevitabile qualche domanda gli piove addosso.. in tutta la vita, e per l'eternità del Tempo, lui non è niente altro che questo racconto.  

10 commenti:

  1. che essere immondo, deprecabile, sconciamente deforme nella sua inessenza inutile e vuota, così tanto schifoso, ributtante, osceno, meschino, orripilante quanto al contrario è sublime il racconto per il modo del suo autore di dirlo.
    ora vado a riempire le taniche al fontanile che sarebbe poi casa del vicino, chè la cascata è gelata e stamattina sono senz'acqua:(

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  2. chi vorrebbe sopravvivere all'umanita', pur essendo uomo, non capisce cosa vuol dire "umanita'"... :)

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  3. Ci sono persone talmente testarde e pragmatiche che continuano a vivere come se nulla fosse, ignorando volutamente il fatto di essere morte, fino a dimenticarsene. Ogni tanto perdono qualche pezzo. Di solito, quando si soffiano il naso, rimane un pezzetto di carne marcia nel fazzoletto. Io, personalmente, trovo estremamente poetico lasciare suonare il telefono senza neppure chiedermi chi possa essere.

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  4. L'hai chiuso con una certa fretta, a mio parere e so che di questo parere non te ne fai nulla, tanto meglio direi!
    Materiale c'è, c'è roba, c'è umanità a dispetto di quanto si possa pensare, ben diverso è capire cos'è l'umanità, ma c'è.
    Il Drudo, che è un idiota, è un personaggio interessante, al sapore di quella beat generation che tanto ci garba.
    A volte nel leggere c'era un qualcosa di dispersivo ma lo stile di scrittura, il linguaggio mi garba.
    Detto troppo, saluti.

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    1. beh si, e' sbrigativo. in fondo e' si etichettato "racconti" ma e' pur sempre un post... quelli se passano la giornata, diventano cose troppo serie. almeno per me... :) (si, c'e' parecchia umanita'... qualsiasi cosa voglia dire umanita') per il resto.... dici dici, se hai da dire :) saluti

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  5. Per fortuna la "bruttezza" del personaggio è inversamente proporzionale alla bravura dello scrittore... :-) Mi è piaciuto molto questo ritratto per come è delineato il personaggio...

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    1. gli elementi singoli non definiscono il dolore e non si prepara il te per il proprio assassino (Drudo e' un prototipo in via di sviluppo, o anche, desertificazione e' produzione di solitudini separate. o anche, la palla e' mia e non giochiamo piu'... insomma, riferiro' i complimenti a Cassandra :) )

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  6. :-) un prototipo in via di sviluppo... o di sottosviluppo? ;-)))

    salutami Cassandra :-)

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    1. sara' fatto. quando la mettero' a letto stasera... :)

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